Olio su tavola, firmato “Díaz de la Peña” sul retro. Ringraziamo Michel Rodrigue per aver confermato l’attribuzione di questo dipinto a Díaz.
Misure
Tavola: 24,5 x 14 cm
Cornice: 35 x 24 cm
Figlio di un esule spagnolo, Narcisse Virgile Díaz de la Peña trascorse la sua giovinezza vagabondando: da Bordeaux, sua città natale, a Parigi, passando per l’Inghilterra e la Linguadoca.
Giovane apprendista in una fabbrica di porcellana parigina, iniziò a dipingere e conobbe i pittori Jules Dupré, Raffet e Troyon.
Artista autodidatta, si cimentò nella pittura dei dintorni di Parigi prima di studiare i pittori luministi del Louvre: Correggio, Rembrandt e Prud’hon. Dal 1831, data della sua prima esposizione al Salon, fino alla morte, ottenne un successo relativamente rapido presso collezionisti e artisti che sarebbero diventati suoi amici: Théodore Rousseau, Corot, Millet e Daumier.
La malattia impedì al paesaggista di vivere l’avventura del viaggio e, ammiratore di Hugo e Delacroix, vide solo l’Oriente di Decamps.
Nel 1836 (anno in cui incontrò Rousseau), si innamorò della foresta di Fontainebleau, dove trovò la maggior parte dei motivi da lui accuratamente selezionati. Ben presto, i pittori si riunirono attorno a Rousseau, che si era stabilito nel villaggio di Barbizon, rompendo così con la rigida struttura del paesaggio accademico. Questa liberazione conservò l’esaltazione drammatica dei romantici, coniugandola con un profondo senso della realtà. Lo spettacolo di una radura o di un sottobosco era permeato da una passione più forte dell’aneddoto visivo. Insieme a Rousseau e Daubigny, Diaz contribuì a cancellare dal paesaggio il pittoresco teatrale dei grandi panorami romantici; ancora più originale fu la sua comprensione dell’effetto puramente pittorico. Conosceva le risorse della materia che maneggiava con un pennello febbrile. Come un fuoco covante, la luce rossa si insinua tra le masse verdi nell’ombra fitta e ardente. L’intera tela è intrisa di una luce misteriosa, “abbaglianti gioielli solari” (Focillon). Tra foreste e giardini, emergono piccole figure appena definite – fate, zingare, ninfe o donne eleganti – come emergessero da una visione onirica. “La pittura di Díaz è un sogno in una terra incantata. Queste foreste e queste creature voluttuose si incontrano solo nelle visioni di hashish, quando si è perfettamente sani e felici. È a questo fascino fiabesco che va attribuito il successo di Díaz; perché la sua pittura stessa, o meglio la sua esecuzione, instillava un certo timore nella borghesia, che generalmente preferiva dipinti finiti, chiari e di facile comprensione.” Nel suo Salon del 1846, Théophile Thoré ci offre una panoramica completa del suo protetto, Narcisse Virgile Díaz de la Peña.
Il nostro dipinto raffigura un giardino o una radura soleggiata dove un gruppo di eleganti dame, vestite con abiti sontuosi, si divertono e scherzano. Queste incantevoli piccole scene di genere fanno parte di una serie di piccoli pannelli che Díaz realizzò intorno alla metà del XIX secolo, che furono molto popolari tra il pubblico e che lui stesso mise in vendita, le “Vendite Díaz”. Alcune di esse recano persino il sigillo “Vendite Díaz”. Nel nostro caso, la tavola è firmata sul retro e, per garantirne un’attribuzione sicura, è stata sottoposta a Michel Rodrigue, esperto di Diaz e della Scuola di Barbizon e membro dell’Unione Francese degli Esperti (UFE). Michel Rodrigue ha esaminato fino ad oggi oltre 30.000 opere della Scuola di Barbizon.